Un punto di riferimento

Categoria: Don Nicola tra virgolette

“CRISTO RE”

COMMENTO ALLE LETTURE DELLA XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – NOSTRO SIGNORE GESÚ CRISTO RE DELL’UNIVERSO – ANNO A – SOLENNITÀ

DOMENICA 22 NOVEMBRE 2020

COMMENTO ALL’OMELIA DI DON NICOLA BARI

Gesù ci parla oggi da Re.

Ma bisogna intenderlo bene.

Se ci rifacciamo all’idea stereotipa del Re, potente e ricco, che decide la sorte dei suoi sudditi, suddividendoli in buoni e cattivi dall’alto di un trono da cui giudica il destino di ciascuno, rischiamo di andare fuori strada.

E di coltivare un’idea di Dio opposta alla proposta di Amore incondizionato che afferma e testimonia, nella sua relazione con l’uomo.

Difatti, l’amore non si esplica se non in un rapporto, in una relazione e il Vangelo mette anche oggi  in evidenza la proposta che Dio instancabilmente, rivolge alla creatura umana.

Una proposta di amore  che facciamo fatica a recepire, ma soprattutto a tradurre, se non attraverso blande, scontate, generiche, superficiali dichiarazioni di bene per il prossimo.

In realtà, ci ammonisce Don Nicola, dovremmo aver l’umiltà di dire “ti voglio bene ma non sono capace di volerti bene veramente”.

Ma non solo, tendiamo anche a proiettare su Dio atteggiamenti e giudizi che in realtà appartengono a noi, costituzionalmente incapaci di amare veramente. Cosicché ci rifacciamo  ad immagini (come, per esempio quella del Giudizio Universale di Michelangelo) che, sebbene  affascinanti e mirabili, nondimeno tradiscono una mera trasposizione degli attributi umani alla figura divina.

Ma Dio non separa e non giudica.  

Dio è amore incondizionato e ci offre testimonianza di questo amore liberante ricordandoci quanto piccoli siamo nella nostra essenza umana  e  quanto distanti siamo dalla capacità di amare autenticamente l’altro.

Ma  ci offre anche una strada, per esempio, attraverso la parabola  del Buon Samaritano, con  la quale  spiazzandoci,  sovverte i nostri rigidi schemi mentali, i nostri giudizi a buon mercato, le nostre comode autoassoluzioni e ci aiuta a riconoscerLo nel prossimo.

Dio continua ad amarci e non indietreggia. Attende pazientemente  che ci rendiamo conto che la sua è la proposta di un Amore che può aprirci veramente alla vita.

Una vita da riscoprire nella relazione con l’altro, il povero, l’indigente. E così ci indica anche la vera strada  in grado di condurci alla vera gioia della vita.

Vale a dire la strada di una povertà che Gesù ci invita incessantemente  a riconoscere, a scorgere e a soccorrere nei nostri fratelli più poveri e indifesi, ma, in fondo, a riconoscere innanzitutto in ciascuno di noi, poveri da convertire e da riportare sulla strada della Vita.  

In realtà, se non riconosciamo la nostra stessa povertà, non possiamo incontrare e relazionarci veramente con Dio.

Infatti,  Dio del Nuovo Testamento (e nella parabola di oggi, ancora una volta) indica esplicitamente  i poveri, gli affamati, i malati, i sofferenti come coloro cui destinare attenzione   e premure.

Ma in fondo  ognuno  di noi  è povero, affamato, sofferente, con la sola aggravante   che spesso  ci illudiamo di non esserlo, autocondannandoci.

E allora, risulta chiaro che non è Dio a giudicare, a separare, ad abbandonare come farebbe un re di questa terra, ma siamo noi che ci facciamo scudo di una falsa immagine creata solo dalla nostra paura di amare.

Dio ci lascia, è vero, la libertà di rimanere schiavi delle nostre paure, della nostra incapacità di amare.

Ma è una  libertà di cui dobbiamo, prima poi trasformare in responsabilità.

Evitando, per l’amor di Dio , (è proprio il caso di dire) di sentirci ricattati o peggio giudicati da Lui.

Proviamo a riconoscere invece in questa proposta l’ennesima premura per rivolgerci a Lui, con fiducia.

“POVERTÀ E PAURA”

Continua la rubrica dedicata alle sollecitazioni domenicali di Don Nicola, che ci aiutano a procedere lungo la strada che ci conduce  ad un rapporto più maturo con la fede.

Una relazione, oltre gli schemi e le strutture che imbrigliano e appesantiscono la nostra spiritualità, affinché investiamo, senza timore, sulla relazione di amicizia con Dio, propria di una fede adulta e responsabile.

“Con la Messa di oggi inizia il Tempo Ordinario. Dopo il periodo pasquale, la Messa di oggi ci propone letture son molto suggestive e belle”. (v. sotto)

È questa l’introduzione di don Nicola alle riflessioni domenicali sulle letture che “il tempo ordinario” ci offre.

Esse mettono in evidenza due parole, in particolare: “povertà” e “paura”.

La povertà, anzitutto, che non è da intendersi solo come povertà materiale, ovvero   mancanza di risorse materiali (aspetto della realtà, peraltro, da non trascurare) ma  nella sua declinazione più insidiosa, vale a dire,  quella del cuore.

In realtà, sovvertendo la logica ordinaria  il Vangelo ci indica nella indigenza , nel bisogno insoddisfatto dell’uomo,  una condizione privilegiata per riconoscere una ricchezza più vera e affidabile.

Difatti, don Nicola, commentando la prima lettura in estrema sintesi, afferma chiaramente che il povero è in posizione di vantaggio  perché ha più possibilità di affidarsi e di scoprire la vera ricchezza dell’uomo.

È un’opportunità, in vero, che il nostro Buon Dio non smette di offrirci, in particolare, attraverso il sacrificio del suo figlio, nuovo Adamo, ovvero Gesù Cristo.

È la fiducia in Lui, la possibilità di affidarci a Lui, che può aiutarci a liberarci dalle  pesanti sovrastrutture materiali, delle false sicurezze, dell’illusorio potere che le ricchezze  materiali ci promettono, e che può favorire il passaggio dall’autocompiacimento alla fecondità di una relazione d’amore.

Difatti, il povero, o meglio colui  che si riconosce e accetta di essere indigente, è colui che più credibilmente  può  avviare un percorso  di liberazione.

Peraltro, come ci aiuta a riconoscere Don Nicola, non saremo mai liberi fino in fondo, se non all’interno di una relazione d’amore.

Evidentemente, la stessa libertà per corrispondere ad una esperienza di crescita (e di ricchezza vera) va coniugata con la responsabilità.

Solo  questa coniugazione, di libertà e responsabilità,  ci può indurre a riconoscere  il limite, la penuria, la mancanza, come una preziosa consapevolezza della nostra condizione umana,   per aprirci alla relazione con l’altro.

E per  costruire insieme una nuova  e più feconda, generativa, ricchezza.

Di fatto solo così acquista senso e valore la libertà e la stessa identità della persona umana.

Perseguita come valore assoluto, la libertà perde, di fatto, il suo vero potenziale. Che, invece, consiste e si rafforza nel riversare nella compagnia, nell’amicizia, nella squadra la sua  fecondità generativa.

In effetti è solo l’amore, non l’assenza del bisogno, non il mero affrancamento  dall’ indigenza, e neppure l’assenza di malattie   che può aprirci alla vera ricchezza.

Per godere di questa ricchezza, di questo ampliamento dei nostri confini, c’è bisogno  di riscoprire il valore della relazione, dell’affidarsi, del ri-conoscersi nell’altro.

E qui Don Nicola chiarisce il possibile equivoco che  una lettura superficiale del brano evangelico di oggi, può ingenerare. Vale a dire dove il brano evangelica recita testualmente: “Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro”. (Mt 10,26-33) E dove c’è il rischio di una interpretazione deresponsabilizzante, riduttiva, per quanto riguarda il ruolo  della persona., di ciascuno di noi.

In effetti, e Don Nicola lo chiarisce molto bene, ciò che spetta all’uomo non è un semplicistico astenersi dall’impegno quotidiano, rimettendosi passivamente alla volontà di Dio, ma è più propriamente un atto di coraggio che corrisponde all’affidarsi, allo scegliere, ma anche al superare l’adamitica superbia che lo condanna all’infelicità della presunzione, dell’autosufficienza.

L’esortazione  invece è proprio quella di riconoscere e farci interrogare dal nostro  stato di indigenza.

Un’indigenza, beninteso,  relazionale, più che materiale.

Quell’indigenza che può aiutarci a ricercare, a costruire, investire nella relazione con l’altro, per fare squadra, scoprire che  la vera forza, di ciascuno, risiede nell’aiutarsi reciprocamente per condividere il dono della Comunità, del Pane, dell’Ammore.

Pertanto più che cercare soddisfazione e sicurezza nel possesso di  oggetti, o in sovrastrutture materiali, o in  obiettivi narcisistici,  ci viene suggerito di spogliarci  degli “indumenti” superflui.

Piuttosto che un atteggiamento passivo, deresponsabilizzante, fatalistico, ci viene chiesto   di affidarci, di aver fiducia.

E di passare dall’autocompiacimento  alla valorizzazione del nostro stato di indigenza umana, per aprirci all’altro, con fiducia, spirito di collaborazione, impegno reciproco.


Prima Lettura

Ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori.

Dal libro del profeta Geremìa
​Ger 20,10-13

Sentivo la calunnia di molti:
«Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo».
Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta: «Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui,
ci prenderemo la nostra vendetta».
Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere; arrossiranno perché non avranno successo,
sarà una vergogna eterna e incancellabile.
Signore degli eserciti, che provi il giusto, che vedi il cuore e la mente, possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa!
Cantate inni al Signore, lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori.

Parola di Dio.
 

Seconda Lettura

Il dono di grazia non è come la caduta.Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani
Rm 5,12-15

Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato.
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti morirono, molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti.

Vangelo

Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 10,26-33
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Non abbiate paura degli uomini, poiché nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto. Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze.
E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geenna e l’anima e il corpo.
Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura: voi valete più di molti passeri!
Perciò chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli».

“PANE”

LA PAROLA DELLA DOMENICA 13 giugno 2020

corpus domini

La condivisone, la partecipazione alla vita comunitaria non sono un puro atto formale, la stessa presenza alla Messa domenicale, che a partire da questa settimana il nostro Don Nicola ha anticipato al sabato, non è l’adempimento di una pur suggestiva liturgia.

Ce lo ricorda il Vangelo di oggi, (vedi sotto le letture della Domenica) laddove Gesù non sta indicando un rito liturgico, da ripetere, formalisticamente, come un dovere istituzionale, ma  parla  di persona, realtà e storia.

Difatti le parole «carne», «sangue» indicano l’intera esistenza, la vicenda umana e divina,  di un Dio presente in ogni fibra del nostro corpo, ma anche nei gesti che lo rendevano parte della comunità.

Le sue lacrime di dolore, le sue passioni, il suo lavare i piedi, la sua commozione, il suo modo di accogliere, ma anche la gioia che trasmetteva alle persone che a lui si rivolgevano con fiducia.

Ed è a questa realtà molto concreta, oggi come ieri, fatta di persone  che camminano insieme, che condividono sforzi, gioie, dolori, vita comunitaria (come popolo, come ecclesia), che  Don Nicola ha ricondotto il significato della festa di oggi.

Una festa che potremmo ri-definire “festa del pane”. Vale a dire quel cibo scelto da Cristo per tramandarci, o meglio, trasferire il suo corpo nel nostro sangue, nelle nostre cellule biologiche, ma soprattutto nei nostri cuori, per alimentare il suo esempio (concreto, carnale manco a dirlo)  di amore incondizionato.

Ma il pane è anche il simbolo della necessaria unione di tante piccole particelle, amalgamate insieme dalle mani di un sapiente impastatore, per creare un alimento la cui capacità nutritiva  supera la somma delle parti di cui è composto.  

La festa del pane, dunque celebra  la parola di Dio  come cibo essenziale per la vita. Ma tanto più essenziale in quanto calato nella realtà della nostra vita comunitaria, del nostro concreto camminare insieme di tutti i giorni.

La festa del Corpus Domini, dunque, ben lungi dal suggerire esperienze tribali, o riti cannibalistici, propone un’esperienza di condivisione solidale, un sedersi a tavola con gli altri, per offrire e consumare insieme il pane della solidarietà.

Ed è soprattutto questo l’invito che Don Nicola, instancabilmente, ci propone, quotidianamente e nella “plenaria” domenicale. Da non trasformare in un momento istituzionale ma in occasione per rafforzare un cammino che si compie ogni giorno, condividendo le fatiche, i dubbi, le insicurezze, che pur accompagnano il nostro cammino.  


Le letture della domenica

Prima Lettura

Dal libro del Deuteronòmio
Dt 8,2-3.14b-16a

Mosè parlò al popolo dicendo: «Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

Seconda Lettura

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
1Cor 10,16-17

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

Vangelo del Giorno

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,51-58

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

“RESPIRO”

La “Parola” della Domenica


31.5.20

IL RESPIRO  
Continua la rubrica dedicata alle sollecitazioni domenicali di Don Nicola, che ci aiutano a procedere lungo la strada  verso un rapporto più maturo con la fede.
Una esortazione, quella di Don Nicola, ad andare oltre gli schemi e le rigide strutture mentali che imbrigliano e appesantiscono la nostra spiritualità, affinché investiamo, senza timore, sulla relazione di amicizia con Dio, propria di una fede adulta e responsabile.

Oggi è la festa della Pentecoste. Per questo i paramenti sacri, esordisce Don Nicola,  sono di colore rosso, ii colore che richiama energia, affetto, amore, tutti elementi associati alla passione, alla forza, e rievocate anche dai simboli del cero, del fuoco, della luce. La Pentecoste è, dunque, una festa “potente”, che si colloca 40 giorni dopo la Pasqua.

È una festa molto importante, dedicata in passato ai primi raccolti in agricoltura e successivamente a Mosè. Ma in effetti è difficile parlare dello Spirito. Anche perché, a dispetto del senso comune, ci richiama alla concretezza, a scelte libere ma concrete come concreta è stata, ed è, la presenza di Cristo. E, pertanto, parlare dello Spirito non significa affatto non stare con i piedi per terra. Lo Spirito è una “realtà” non strutturata ma non per questo meno reale. Anzi …

La prima lettura (Dagli Atti degli Apostoli At 2, 1-11) ci riporta l’immagine degli Apostoli impauriti. E Don Nicola la paragona un po’ a quella che stiamo vivendo in questo periodo, segnato dal timore del coronavirus da cui, beninteso, facciamo bene e a difenderci. Ma, a volte, paradossalmente, ci difendiamo proprio da Dio, quasi come fosse un virus. Una reazione, appunto, paradossale … ma, in fondo, umanamente comprensibile.

Difatti, la dimensione spirituale è una conquista dell’uomo ma anche una consegna che spiazza e spariglia le nostre certezza, le nostre rigide strutture mentali e materiali. In qualche modo, essa ci atterrisce, così come atterrì i Discepoli, quando questa forza si palesò. Perché se è vero che lo Spirito è libertà, è connessione con la dimensione più profonda e caratterizzante dell’essere umano, vale a dire la dimensione che ci distingue da tutte le altre creature, è pur vero che  ci richiama ad una scelta responsabile. Propone l’orizzonte della liberazione dalla schiavitù delle nostre paure e delle nostre rigide strutture difensive, ma non di meno ci espone ad una condizione che sconvolge la nostra vita ordinaria (come accadde peraltro anche agli Apostoli) perché ci interroga da adulti e ci invita a scegliere.

Ma è soprattutto allora, in verità, che riusciamo ad integrare, a costruire, a unire. Ed è proprio grazie alla forza dello Spirito che possiamo evitare la tentazione dell’individualismo, che ci illude di costruire una torre, come quella di Babele, destinata poi miseramente a crollare. Difatti, ognuno di noi è diverso dall’altro ma proprio questa diversità è un’occasione di arricchimento, di integrazione feconda, non certo una condizione di isolamento. A patto di imparare a comunicare, sospinti dallo Spirito. Anche per questo la Pentecoste apre alla festa dell’amicizia, alla Luce che rischiara e che apre prospettive nuove. Sta a noi, dunque costruire la Pentecoste dello Spirito, come ci ha esortato a fare don Nicola al termine delle sue riflessioni domenicali indirizzate alle Comunità della rete, chiamate a coinvolgersi sempre di più nella condivisione delle riflessioni domenicali e non solo.  

LE LETTURE E IL BRANO DEL VANGELO

Prima Lettura

At 2, 1-11

Dagli Atti degli Apostoli
Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

Seconda Lettura

1 Cor 12, 3b-7. 12-13

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.
Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune.
Come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Vangelo

Gv 20, 19-23
Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

“DUBBIO”

Crescere in adultità significa crescere in responsabilità. E nella relazione di amicizia con Cristo Gesù.

Ci aiuta in questa prospettiva la festa dell’Ascensione, festa ricca di indicazioni e molto importante per procedere nel nostro camino personale e comunitario, accompagnati dalle sempre preziose riflessioni domenicali di Don Nicola.

In effetti la festa dell’Ascensione, come ci ha ricordato Don Nicola, è anche la festa del dubbio, del riconoscimento della nostra condizione di incertezza, e del richiamo alla necessità di scegliere e di crescere.

Sempre più si delinea, nel cammino evangelico, ma in fondo di ogni realtà che ad esso si ispira, la prospettiva della ”adultità”.

Cosicché partendo della seconda lettura del messale, la bellissima preghiera cui ispirarci per procedere con fiducia nel nostro cammino, Don Nicola ci ha guidati ad una riscoperta dell’Ascensione, ovvero al significato vero della ascesa del nostro Signore al Cielo.

Non pienamente corrispondente, in verità, alla iconografia con cui viene un po’ banalizzata questa fondamentale tappa della fede proposta ai discepoli di Cristo.

Perché state a guardare il cielo? (At 1, 1-11 Dagli Atti degli Apostoli)

Don Nicola è partito proprio da questa domanda, quasi un rimprovero, che “due uomini in bianche vesti” rivolsero agli «uomini di Galilea”, che si attardavano a coltivare un senso di smarrimento, successivo alla scomparsa di Gesù tra le nubi del cielo.

È proprio da qui, dalla sottolineatura di questo richiamo, ma anche del luogo dove Cristo raduna il suo sparuto popolo, che Don Nicola ha preso spunto per suggerirci di essere più adulti nel procedere dalla condizione periferica a quella della elevazione sul monte indicato da Cristo stesso. Peraltro entrambe significative, nella logica del cammino, del processo del continuo divenire….    per crescere.

Difatti, Gesù chiama a raccolta i suoi discepoli, tutti presenti tranne Giuda, per dar loro una consegna: “andare sino ai confini della terra”.

Ovvero ampliare gli orizzonti senza appellarsi a improbabili limiti spazio temporali, per proporre la forza di un messaggio basato esclusivamente sull’amore….  senza confini.

Quindi sulla fiducia di un rapporto che non esclude il dubbio, la paura, l’incertezza ma che necessariamente ci chiede di investire nella relazione, nel rapporto con Dio, facendo leva sull’amore, più che sul superamento dei limiti personali. Quell’’amore che Cristo stesso riconosce, e più di tutto apprezza, nei suoi discepoli, al di là dei dubbi, delle incertezze, dei passi falsi, e dei limiti che tutti i “suoi uomini” hanno palesato nel loro percorso.

Difatti anche noi, poveri, dubbiosi, insicuri essere umani, non siamo chiamati a missioni impossibili e tantomeno a camminare sulle acque, come provò timidamente a fare San Pietro, poi soccorso da Cristo stesso.

Siamo chiamati invece, più realisticamente e responsabilmente, a fare un passaggio di adultità, che, beninteso non significa presunzione e tantomeno superbia.

In realtà, l’invito di Cristo ai suoi discepoli, così come ad ognuno di noi, rappresenta   una ulteriore, amorevole, premurosa sollecitazione ad operare un passaggio di Adultità, e che ci consente di riconoscere Gesù sempre presente al nostro fianco nel proseguire il nostro cammino.

  Mario Scannapieco

IL BRANO EVANGELICO

Mt 28, 16-20
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

“ORFANEZZA”

La Parola della Domenica (Riflessioni, emozioni, sollecitazioni operative correlate alla omelia domenicale di Don Nicola Bari)

A cura della redazione

Comunità Sorella Luna – Roma 17.5.20

La storia dell’uomo, così come quella della Chiesa, è segnata da un incessante divenire, da cambiamenti talvolta traumatici che altrettanto spesso spiazzano e disorientano. Ma che vanno riconosciuti, più correttamente, secondo l’insegnamento delle Scritture, come delle provvidenziali occasioni per accettare i nostri limiti, crescere e realizzare la nostra vera umanità. È un processo che si concretizza, soprattutto, nella capacità dell’uomo di costruire e coltivare sane relazioni solidali.Difatti è proprio Cristo, nel Vangelo di oggi, che ci esorta a vincere il sentirsi orfani (ovvero l’orfanezza”, come l’ha definita Papa Francesco con un neologismo) che sta ad indicare il rischio di coltivare una fede immatura, fondata sulla dipendenza, su un atteggiamento, infantile, passivo.

Difatti, l’esortazione che ci viene da Cristo e dal Vangelo, in particolare quello di San Giovanni (Gv 14,15-21) va proprio in questa direzione.

Senza negare il bisogno di tenerezza e il desiderio di affidarci inermi al Dio Padre misericordioso, Don Nicola ci ha invitati a riconoscere più pienamente la necessità essere più attivi, protagonisti del cammino che ci attende.

Un rapporto da tenere sempre vivo perché vivo è il processo che Cristo ha innescato nel nostro cammino con la sua venuta, ma anche con la sua morte, ovvero con la separazione fisica, più volte annunciata nel Vangelo.   

Gesù Cristo ci ha invitati a coglierla come un’occasione preziosa – e necessaria – per elaborare un passaggio che ci rende veramente vivi e liberi. E proseguire con fiducia nel nostro processo in continuo divenire.

In questa prospettiva, si tratta, allora, di accogliere gli stessi Comandamenti, non di subirli, e di apprezzarne la funzione di amorevole attenzione di Dio per l’uomo, vale a dire realizzare il comandamento più importante di tutti: il Comandamento dell’amore. Quello che dà senso alla nostra vita e alla stessa libertà dell’uomo.

Sperimentare la separazione dalle persone care (cos’altro è la morte, almeno sul piano psicologico, se non una separazione?) è certamente un’esperienza dolorosa, per certi versi inaccettabile, ma anche un passaggio necessario per crescere e riconoscere la vera essenza della nostra natura e della nostra fede. Che si realizza pienamente solo nella esperienza della relazione, o meglio nella relazione d’amore.

L’amore è, di fatto, il motore di ogni esperienza, di ogni relazione vera, di ogni squadra che voglia veramente costruire il futuro e superare l’”orfanezza”.

Gli stessi Comandamenti sono il forte atto d’amore che il Padre Nostro ci ha voluto donare per accompagnarci verso una prospettiva di vita adulta che ci consenta di scoprire e godere veramente la fecondità della relazione con Lui.

E proprio da questo punto di vista, il nostro Don Nicola ci ha spronati ad andare avanti, a vivere ma anche a riconoscere la nostra capacità di fronteggiare le crisi e i cambiamenti conseguenti, come stiamo facendo soprattutto in questo periodo, “grazie” anche all’emergenza coronavirus. Che ha innescato nuove, feconde esperienze di sviluppo del nostro processo di crescita, personale e associativo.

Una bella prova della nostra capacità reattive, operative, non c’è che dire, ma anche il segno della fiducia nella squadra solidale del Centro La Tenda. Ma anche l’occasione per sviluppare attivamente le “nuove relazioni” che questo tempo di crisi ci sta regalando. 

Il brano evangelico

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,15-21)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

“PIETRA”

La Parola della Domenica (Riflessioni, emozioni, sollecitazioni operative correlate alla omelia domenicale di Don Nicola Bari) Comunità Sorella Luna – Roma 10.5.20

Il Vangelo di oggi 10 maggio (v.il testo integrale a fondo pagina), trasmesso come ormai consuetudine, dalla Comunità Sorella Luna, durante la Santa Messa celebrata in diretta Google Meet, dal nostro Don Nicola, ci offre interessanti sollecitazioni che riguardano la nostra vita.

Intanto si consolida questa interessante innovazione che permette a noi “ popolo de La Tenda ” di condividere più costantemente il nostro cammino associativo.

Il tema, da cui il nostro don Nicola ha preso spunto, stavolta, è quello del cambiamento.

Già negli   degli Apostoli (At 6,1-7), la lettura che ha preceduto la pagina evangelica, veniamo avvertiti della dinamicità della Chiesa, che si fa ancora più intensa quando Cristo si approssima a separarsi fisicamente degli Apostoli, cui destina una sorta di testamento.

Ma tant ’ è! La paura della separazione, dell ’ abbandono, della perdita genera sentimenti di ansia, inquietudine, insicurezza e crea i primi confitti tra i seguaci. E quindi la protesta di qualcuno rimasto indietro.

Così, la reazione dei primi Apostoli è quella di scegliere “ 7 uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico ” .

In realtà questo pur comprensibile tentativo di strutturare risposte, definendo una sorta di organigramma, non può garantire la trasmissione del vero Messaggio evangelico.

Sembra, più che altro, dettato dalla paura del cambiamento, di ogni cambiamento. Ieri come oggi.

La risposta vera, invece, ci giunge dalle parole del Vangelo e in particolare dalla parabola della “ pietra d ’ inciampo ” , quella pietra, “ rifiutata dagli uomini e scelta e preziosa davanti a Dio ” .

Un passo evangelico, in cui Gesù esordisce esortando, innanzitutto, gli apostoli a “stare tranquilli ”, a non affannarsi.

Difatti Gesù rimprovera sia Tommaso che Filippo che sembrano non collocarsi nella giusta prospettiva. Tommaso perché cerca le certezze degli schemi e Filippo perché non riconosce il vero valore della relazione, nonostante l ’ avesse sperimentata più di altri.

In realtà, come ci ha suggerito don Nicola nel corso delle sue mai scontate riflessioni, la pagina del Vangelo è un invito ad allargare i nostri confini e superare rischio di rimanere ingabbiati nelle strutture rigide delle nostre difese.

Gli stessi comandamenti (le “ regole ” per antonomasia), che pure il noto attore Roberto Benigni ha di recente trattato in una spettacolare performance televisiva, sono una formidabile occasione che Dio ha voluto fornire agli uomini per “ fare pulizia ” . E per riportare gli uomini a sentirsi liberi.

Libri dal fardello di regole, precetti, norme comportamentali che, in realtà, appesantiscono e disorientano l ’ uomo.

In effetti Cristo ci ha fatto partecipi di un processo di liberazione attraverso il quale ci ha fatto conoscere Dio non come una Entità astratta, rappresentata da precetti e obblighi comportamentali, un Dio che non si vede, ma come un Dio vicino, corpo, presenza.

Ancora più significativamente l ’ Evangelista Giovanni ci ricorda che Cristo ci ha chiamati ad essere suoi “ amici ” .

Noi siamo, dunque, chiamati a operare un passaggio dalla pur umanamente comprensibile posizione di Tommaso e Filippo, ancorati a schemi vecchi e a certezze statiche per scoprire la dimensione della relazione, dinamica e interattiva con Dio e con l ’ altro.

A fronte della possibilità di scegliere la vera felicità rischiamo di rimanere schiavi della nostra paura di cambiare e di condannarci alla infelicità di un rapporto con Dio e con la fede, immaturo, schematico, sterile.

Ma Cristo ci vuole liberi.

Peraltro la libertà non è quella che erroneamente riteniamo, assoluta, sciolta da ogni vincolo, senza regole, ma è veramente tale solo se si coniuga con la dimensione dell ’ Amore.

Solo allora non saremo più dipendenti da qualche di illusorio obiettivo da raggiungere a tutti i costi o da qualche falso profeta cui delegare le nostre scelte (vedi l’omelia della settimana scorsa).

Si tratta, in realtà, di riconoscersi liberi di osare, di andare oltre i confini, e di cogliere il vero Messaggio di amore cristiano. Un amore senza confini, appunto.

In realtà, l’amore è la vera dimensione della libertà. Solo l ’ amore dà la vera libertà e quando ci facciamo guidare dall’amore facciamo esperienze di libertà.

Ed è il proprio questa la rivoluzione che ci invita a fare Cristo, ancora una volta rappresentata con una simbologia paradossale.

Trasformare la pietra, da oggetto di inciampo, statico, inerte, in pietra viva, angolare, capace di generare movimento, orientamento, fiducia.

Riflettiamoci, anche alla luce di quanto accade oggi.

Mario Scannapieco

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,1-12)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: Vado a prepararvi un posto? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via». Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».

“PORTA E PASTORE”

La Parola della Domenica (Riflessioni, emozioni, sollecitazioni operative correlate alla omelia domenicale di Don Nicola Bari) Comunità Sorella Luna – Roma 3.5.20

“Io sono il Buon Pastore, dice il Signore, conosco le mie pecore e le mie pecore riconoscono me”

dal vangelo secondo giovanni (gv 10,1-10)

E’ terminata da poco la messa di oggi, 3 maggio 2020. Si consolida la sacrosanta abitudine (è proprio il caso di dirlo) di celebrare (grazie agli strumenti tecnologici che sempre di più stiamo efficacemente utilizzando) la Messa domenicale insieme a tutta la comunità del Centro La Tenda. E insieme al nostro Don Nicola.

E per comunità, sia chiaro, intendo proprio tutta la comunità , o meglio tutte le comunità, di cui è composta la costellazione de La Tenda.

Una grande, positiva occasione che ci permette apprezzare, tra tanti disagi, quei doni che, a guardar bene, pur ci sono, in questo difficile periodo.

Quello di stasera, in particolare, mi sembra proprio prezioso. Mi riferisco all’insegnamento che ci è giunto, a me come a tutta la comunità collegata, attraverso le riflessioni sul tema della porta, evocato dal brano evangelico.

Il brano, molto suggestivo, ma anche molto complesso e impegnativo , come ci ha confessato don Nicola, è di difficile lettura anche per lui già solo perché impone di parlare di Dio.

Un “argomento” oggettivamente insostenibile e già solo per questo indicibile. Rispetto al quale, sembra opportuno, più che altro, il silenzio, la meditazione.

Ma in fondo anche questa sollecitazione che ci proviene dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,1-10) può corrispondere ad una porta da varcare.

Difatti, il brano evangelico riguarda l’importanza di varcare la porta dalla parte giusta e e di riconoscere la necessità di accogliere la sollecitazione ad aprirci piuttosto che rimanere al chiuso dei nostri recinti mentali.

Ma anche di riconoscere la nostra vita, nella sua complessità (ben lontana dall’immagine bucolica del gregge mansueto che si fa condurre dal suo pastore) che alterna smarrimenti e cadute a ritrovamenti e riprese.

Una vita comunque caratterizzata dalla necessità dello stare insieme, del riconoscere un cammino comune, da percorrere facendo tesoro anche delle diversità, delle contrarietà, dei conflitti ma anche della caducità e delle risorse di ciascuno di noi.

Il nostro Don Nicola ha posto molto l’accento sulla importanza di riconoscere il valore della porta, sia di quella d’ingresso ovvero della nascita attraverso il grembo materno ma anche, e forse soprattutto, quella di quella della morte che, come Cristo ci ha insegnato, è anch’essa una porta da varcare per nascere veramente.

E per varcare efficacemente la porta della paura e dell’incertezza che oggi, in particolare, abbiamo davanti (e dentro di noi), non possiamo che radicare le nostre motivazioni, i nostri valori.

E, paradossalmente, rimanere fermi, (come peraltro ci ha suggerito lo stesso Papa Francesco), per dare spazio ai valori profondi, costitutivi della nostra esperienza di vita.

Ma anche di squadra in cammino spirituale, capace di riconoscere nel rapporto con l’altro, nella relazione con l’Altro soprattutto, la guida sicura, il Buon Pastore che ci può aiutare a procedere con fiducia, verso la porta giusta.

Non possiamo cambiare strada proprio adesso. Anzi, proprio adesso, dobbiamo rimanere fermi e riconoscere, grazie al nostro buon pastore, la strada sicura che può condurci oltre la paura, a riscoprirci gregge capace di fare squadra.

IL BRANO EVANGELICO (Gv 10,1-10)

1 «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

Messa di Pasqua 2020

Collegamento al  *canale youtube Associazione La Tenda – Salerno,* per partecipare alla Messa della Cena del Signore di *Giovedì Santo, 9 aprile alle ore 18,00*

L ’ Amore e l ’ Amicizia non si lasciano bloccare. Sono creativi. Distanziati ma ancora più vicini. Per questo, quest ’ anno, vogliamo festeggiare, ancora più insieme, la Pasqua attraverso varie possibilità online e in live streaming.

A nome di tutti, affettuosamente, don Nicola, Centro La Tenda, Compagnia degli Amici, e rete associata

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