Diverse ed estremamente articolate appaiono le posizioni interpretative sulle cause del gioco patologico, di cui in questa sede si ricorderanno solo i filoni storicamente più importanti e fecondi, rimandando a lavori più completi ed organici l’approfondimento e la disamina delle varie posizioni.

Tra le posizioni più importanti va ricordato come il ricorso patologico al gioco venga interpretato come :

a) un disordine legato all’addiction;

b) un disordine legato ad un conflitto psichico irrisolto (si veda in tale ambito la letteratura psicoanalitica e la recente sintesi che ne offrono Maffei e Zerbetto);

c) un disordine legato ad un problema che ha una causa legata ad una disregolazione-discontrollo bio-psicologico, e spiegabile sulla base di correlati cerebrali: recettoriali e neurotrasmettitoriali;

d) il risultato di distorsioni ed irrazionalità di tipo cognitivo.

Interessante sembra poi il campo di studi, che si potrebbe definire il paradigma della vulnerabilità e dei fattori di rischio, che raggruppa al proprio interno alcune delle ipotesi sopraesposte comprendendo anche altre ipotesi quali la ricerca di sensazioni, il ruolo svolto dal locus of control, la comorbidità con altri disturbi ecc. Interessante però appare (sebbene trascurato dalla recente letteratura ed a causa di tale ingiustificata emarginazione lo si riporterà in maniera più organica) il contributo di Custer, uno dei pionieri nello studio del gioco d’azzardo, e noto per avere creato nel 1971 la prima unità di trattamento per giocatori presso il Veteran Administration Hospital di Brecksville in Ohio mutuando metodi per il trattamento degli alcolisti. Custer ha proposto un modello di interpretazione a fasi del gioco d’azzardo patologico. Così come è per altre condotte di dipendenza, non è infatti il semplice incontro tra una persona ed una sostanza che di per sé determina o scongiura in maniera immediata una forma di dipendenza. Nonostante un piccolo numero di individui rimangano “presi all’amo” fin dalla prima scommessa, o il primo incontro con la sostanze, per la maggior parte delle persone l’evoluzione è più insidiosa. Possono esservi anni di gioco d’azzardo controllato seguiti da un una fase di grande coinvolgimento e spesso i giocatori riferiscono di momenti di totale astinenza intervallati da momenti di totale coinvolgimento.

Ragionare sul gioco d’azzardo patologico come punto di arrivo di una carriera significa attribuire senso, importanza e sviluppo ad un insieme di elementi ed ipotesi di tipo individuale, di tipo sociale, e di incontro (con una azione come nel gioco, con una sostanza come nella tossicodipendenza) che possono produrre o meno trasformazioni nel soggetto e nel suo ambiente tali da evolversi in maniera diversa e non determinista nel tempo ed in relazione a variabili complesse e non sempre prevedibili. In questo senso è chiaro ed esplicito il riferimento ad autori quali ad es. Becker, e soprattutto Mead, nella cui concettualizzazione il comportamento del soggetto si comprende non tanto sulla base di stimoli, motivi, pressioni ambientali, deficit sociali o personali quanto in relazione al modo in cui viene elaborato il significato intersoggettivo e intrasoggettivo di “tali eventi o cose” negli episodi e nelle azioni che si vanno costruendo o distruggendo. L’ipotesi di Mead di un Sé concepito come “l’Io che riflette sul Me”, come l’insieme dei processi autoorganizzazionali e autoriflessivi, potrebbe infatti contribuire a comprendere l’evoluzione della carriera del giocatore patologico così come indicata dalla fasi di Custer. La prima fase di incontro con il gioco viene definita da Custer come fase vincente ed inizia con un primo contatto che solitamente avviene con parenti od amici. L’idea è quella di divertirsi, il gioco è associato ad azione ed eccitazione , si può anche provare l’emozione della vincita e dimenticarsi per un breve periodo di altri problemi e preoccupazioni. Secondo Blaszczynski tre giocatori patologici su quattro ricordano di una grossa vincita all’inizio della loro carriera. Ciò che è importante rilevare non è tanto l’ammontare oggettivo della somma vinta, quanto l’idea che il soggetto può assumere che il gioco sia un modo facile e piacevole per guadagnare denaro , per divertirsi e che si possa interrompere senza che questo crei alcun problema. Ma scattano in questa prima fase probabilmente altri elementi. Molti giocatori (come molti tossicomani del resto) conoscono e vedono all’inizio a quali conseguenze può condurre il gioco. Credono però di poterne essere immuni o diversi dagli altri e di potere tranquillamente controllare la loro attività traendone gli elementi di piacere pensando di poterne evitare le conseguenze. Oppure “più semplicemente” può scattare in essi una sorta di sfida al limite ed al controllo, oppure ancora “il desiderio di provare ed andare oltre i limiti” diventa elemento di eccitazione o di giustificazione. Indubbiamente in questa prima fase avvengono diverse trasformazioni ed il gioco per molti da occasionale diventa sempre più frequente. Si investe gradualmente sempre denaro nel gioco e comincia ad innescarsi una dipendenza psicologica. Non tutti sono soggetti a questa progressione indubbiamente, ma a questa subentra una fase perdente dove il giocatore gioca da solo ed il suo pensiero è sempre più monopolizzato dal gioco. Cominciano a presentarsi coperture e menzogne a familiari, amici, colleghi. La vita familiare è faticosa ed il giocatore comincia a contrarre debiti senza potere onorarli. Il giocatore sempre più irritabile, agitato e si ritira dagli altri. Risulta difficile smettere di giocare e darsi dei limiti ed il giocatore spende sempre più tempo e più denaro nel gioco attribuendo la causa delle perdite ad un periodo di scarsa fortuna. Si potrebbe osservare come si inneschi in questa fase, un misto tra agon (il sacrificio, la costanza, la forza) e di alea, che alimenta l’idea magica che prima o poi si sarà ripagati da tanti sacrifici e sia necessario soffrire, toccare il fondo, e che alla fine si sarà ripagati. Si tende allora a non staccarsi ad insistere ed a giocare con modalità che offrono minori possibilità di vincita, ma che promettono vincite molto alte e questa è la spiegazione per cui il giocatore diventa perdente. E’ a questo punto che si innesca il meccanismo del chasing ovvero della rincorsa alla perdita che porta il soggetto a giocare sempre di più ed a chiedere prestiti nel tentativo di recuperare il denaro perso ed a raccontare e raccontarsi che recuperato il denaro perso, con la vincita che non mancherà, sarà l’ultima volta. Tutto ciò porta a riacquistare una sicurezza di sé senza confini ed una fiducia nella fortuna. In ultima analisi si è toccato o si stava toccando il fondo, ma grazie a tanta abilità ed un po’ di fortuna si è di nuovo “in gioco”. Ma anche stavolta il giocatore non sarà premiato e se lo sarà ricomincerà il proprio ciclo per arrivare progressivamente alla fase della disperazione, dove il soggetto ha completamente perso il controllo del gioco, può provare un senso di panico e prestarsi ad azioni illegali anche contrarie ai suoi valori poiché in fondo arriverà la grossa vincita che metterà a posto tutto. Le bugie non sono più ben costruite e comunque gli altri non ci credono più provocando nel soggetto aggressività ed accuse. La fase cruciale è quella della perdita della speranza dove si possono trovare pensieri e tentativi di suicidio, problemi con la giustizia, crisi coniugali e divorzi. Per la famiglia risulta sempre più difficile la situazione anche perché quella economica è disastrata e spesso subentrano telefonate o minacce da parte di creditori anche ai familiari. In questa fase il giocatore è a rischio di suicidio, ma può continuare ad ostentare sicurezza anche se prova momenti di panico, che tuttavia riesce ad acquietare continuando a giocare La fase critica dello schema di Custer si articola in otto tappe, che iniziano dal momento in cui il giocatore patologico decide di chiedere aiuto per uscire dalla sua drammatica situazione:

  • Sincero desiderio di aiuto;
  • Speranza;
  • Smettere di giocare;
  • Prendere decisioni;
  • Chiarirsi le idee;
  • Riprendere a lavorare;
  • Trovare una soluzione ai problemi;
  • Realizzare programmi di risarcimento.

A questa fase segue quella della ricostruzione, che si sviluppa in sei tappe e rappresenta la fase intermedia nella terapia del giocatore. Le tappe di questa fase sono:

  • Miglioramento dei rapporti familiari;
  • Ritorno al rispetto di sé;
  • Progettazione di nuove mete;
  • Maggior tempo trascorso con la famiglia;
  • Minore impazienza;
  • Maggiore serenità.

La fase successiva, quella della crescita, costituisce il terzo ed ultimo stadio della riabilitazione del giocatore secondo il modello di Custer. Tale fase è divisa in sei quattro tappe, ciascuna delle quali per alcuni aspetti, rappresenta essa stessa uno degli scopi cui deve mirare la terapia di riabilitazione:

  • Diminuisce la preoccupazione legata al gioco;
  • Miglioramento della capacità di introspezione;
  • Maggiore comprensione per gli altri;
  • Ripresa del sentimento di affetto nel confronto degli altri.

Alle fasi di Custer, Rosenthal ha aggiunto una diversa fase definita come fase “senza speranza o resa” relativa ai percorsi di coloro che non riescono a raggiungere e proseguire verso fasi che permettono un superamento della condotta di gioco patologico, non si illudono più alla fantasia della grande vincita e che giocano con trascuratezza con l’unico obiettivo e bisogno di “sentirsi in azione”.

Il modello evolutivo proposto da Custer offre indubbi elementi di comprensione e di utilità sia sul piano descrittivo che su quello clinico e certamente una complessizzazione rispetto a molti modelli teorici che “sclerotizzano” il giocatore patologico in un quadro spesso senza passato e senza futuro. Il pensare invece quella del giocatore patologico “una carriera” anziché uno stato permette di comprendere gli elementi, i significati ed i bisogni che concorrono nell’evoluzione del quadro da un gioco sporadico ed occasionale ad un gioco patologico e monopolizzante il tempo, gli affetti ed i valori del soggetto. In questo quadro sono necessarie diverse variabili che, singolarmente probabilmente non sono sufficienti. Tali variabili (interne al soggetto, del suo microambiente, al macroambiente ed alla fase del ciclo di vita) possono permettere, favorire, impedire, rimandare il passaggio da una fase all’altra.

Ogni passaggio di fase intende infatti – e pretende anche la creazione da parte del soggetto di tecniche di neutralizzazione che il soggetto utilizza per giustificare il crescente passaggio verso condotte ed identità  non conformi ai valori convenzionali e spesso propri.

L’analisi di questi elementi correlata ai passaggi di fase, può permettere di comprendere il mondo dei significati che spingono ad andare avanti a dispetto degli impulsi esterni ed interni al soggetto che lo spingono ad interrompere.

Nel comprendere tali “passaggi” è però importante considerare anche il ruolo svolto dalla teoria della dissonanza cognitiva Festinger secondo la quale è necessaria una coerenza (una consonanza) tra il dato cognitivo ed il dato mentale. Se il giocatore non riesce ad interrompere o regolare la propria attività e ne osserva i danni che questa comporta, si trova in una situazione di dissonanza cognitiva che crea una situazione di disagio e necessita di trovare modalità per eliminare tale disagio. Ciò può avvenire in due modi o attraverso la modificazione del comportamento (smettere o riuscire a limitare il gioco) oppure attraverso una modificazione cognitiva trovando delle giustificazioni, delle motivazioni, delle negazioni che permettano di continuare a pensare che il giocare non è poi così dannoso ovvero che potrebbe essere ancora più dannoso l’interrompere il gioco oppure ancora che non ne può fare a meno (perchè malato, infelice, debole,etc).

Queste spiegazioni od interpretazioni che il soggetto si dà per mantenere la consonanza tra ciò che fa (ed il danno che ne consegue) e l’impossibilità di cambiare, creano un meccanismo che rischia di autoalimentarsi. la necessità per ritornare ad una forma di consonanza mentale.

Anche secondo Lesieur mano a mano che le azioni compiute diventano sempre più immorali, a mano a mano che i debiti aumentano, che le relazioni sociali e familiari subiscono conseguenze, che le normali attività risultano compromesse dal gioco, subentra la necessità di giustificarsi che passa attraverso pretesti, modificazioni della morale convenzionale, autogiustificazioni, razionalizzazioni.

Come si può quindi osservare quello del giocatore patologico è un processo lento, insidioso, e caratterizzato da fasi diverse anche se presumibilmente non obbligatorie ed ineluttabili.

Ad esempio si può affermare che se un giocatore patologico deve necessariamente attraversare le fasi anche se diverse nei tempi e nelle intensità, non tutte le persone che attraversano le prime fasi necessariamente siano destinati a divenire giocatori patologici.

Pur non avendo dati certi a tale riguardo – anche perché gran parte degli studi si riferiscono a giocatori patologici – è lecito ipotizzare che molti possano arrestare o limitare il loro gioco dopo avere avuto l’impressione di “non divertirsi più” e di perdere il controllo.

Ciò che sembra importante sottolineare è come “la carriera” del giocatore per certi aspetti rischi di essere letta come un percorso obbligato, contrassegnato da tappe e passaggi in un certo senso prevedibili. Tuttavia non abbiamo a disposizione studi conclusivi che ci permettano di comprendere quanto altre persone – non diventate giocatori patologici – abbiano attraversato in fasi dell loro vita momenti di grosso e potenzialmente pericoloso rapporto con il gioco e quanto altre persone riescano a mantenere un rapporto problematico con il gioco pur mantenendo un relativo controllo della situazione.